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Fonditori

Fonderia di campane Giorgio Pruneri di Grosio

Origini

Nonostante oggi i Prùneri siano circa in duecento a Grosio, essi non sono di origine valtellinese, bensì dell'Alto Adige. Verso la metà del Seicento, infatti, il capostipite Filippo Pruner di Lana (Val Venosta), per motivi ancora ignoti, si trasferì a Bormio. Qui ebbe quattro figli: Giovanni, Simone, Cristoforo e Giovanni Abbondio. I primi due rimasero a Bormio ed ebbero discendenza fino agli inizi dell'Ottocento; gli altri due, invece, si stabilirono a Grosio nel 1696. Da Giovanni Abbondio nacque Giacomo il cui pronipote, Stefano, ebbe da Caspani Orsola nove figli tra cui Giorgio nel 1800.


Marchio di fonderia sulla prima campana del Santuario della
B. V. M. di Gandizzano di Sale Marasino (BS), risalente
al periodo di collaborazione col Soletti - foto M. Corno

Intrapresa dell'attività fusoria

Nel 1818 i fabbricieri di Grosio affidarono a Gaetano Soletti la rifusione delle quattro campane della chiesa di San Giuseppe, avendo constatato la non perfetta intonazione delle stesse. Il forno fusorio venne allestito in uno spazio vicino alla chiesa. Soletti chiese un aiutante a Stefano Pruneri, allora amministratore del Comune di Grosio, ed egli gli inviò suo figlio Giorgio.
Da questa esperienza, Giorgio, iniziò il suo apprendistato che fu abbastanza breve, perché nel 1822, alla morte di mastro Gaetano, egli si associò con Placido, erede della ditta Soletti, e con egli operò fino allo scioglimento della società, avvenuta nel 1834. Questa fu un'esperienza estremamente positiva perché il Pruneri, oltre a trovare un supporto notevole nella buona reputazione dei Soletti, ebbe la possibilità di conoscere e ampliare la cerchia dei committenti e di perfezionare la tecnica. I due soci operavano però autonomamente e avevano in comune solo l'utilizzo di alcuni forni dispersi nei centri dove maggiori erano le commesse. In particolare essi si trovavano a Brescia, Ponte di Legno, Pellizzano, Tirano e Grosio.
L'attività, che nel primo periodo si svolgeva quasi esclusivamente in Valtellina, Valcamonica e Val di Sole, a partire dal 1830 si estese anche al Tirolo e alle province di Como, Brescia, Bergamo e Trento.


Marchio di fonderia sul campanone
della Parrocchiale di Grosotto (SO)

Nascita della fonderia

Nel 1832 Giorgio costruì in Grosio il forno dal quale in seguito usciranno tutte le fusioni dei Pruneri. La realizzazione di una fonderia stabile causava alcuni problemi per il trasporto ma evitava inconvenienti ben maggiori permettendo la cura nei minimi dettagli della buona riuscita delle campane. Dopo essersi staccato dal Soletti, il Pruneri associò i fratelli e i nipoti nella conduzione della fonderia. Nel periodo tra il 1822 e il 1861 furono fuse 1236 campane per un totale di 5960 quntali. Dal matrimonio con Maria Pini (Sordìn), Giorgio non ebbe figli e, alla sua morte nel 1880, l'attività della fonderia passò ai fratelli e ai nipoti che già contribuivano all'andamento della fabbrica.
Il 29 marzo 1881 gli eredi fondarono una società in nome collettivo, usando sempre la firma sociale Giorgio Pruneri. L'amministrazione venne affidata a Pruneri Stefano fu Giacomo Antonio. L'eredità del fondatore della ditta passò in buone mani: la serietà della fonderia e la qualità del prodotto non vennero meno e l'attività si consolidò e si espanse ulteriormente. Il nome della ditta, infatti, era conosciuta ovunque e le commesse erano abbondanti dalle province di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Milano, Piacenza, Parma, Sondrio, Varese e Trento. Alune campane furono anche esportate in Svizzera, Austria, Cina, India, Paraguay, Siam, Brasile, Filippine e Perù.


Operaio della ditta Pruneri al lavoro

Ultimo periodo e Dopoguerra

L'attività procedeva con successo e avrebbe certamente portato la fabbrica a ulteriori livelli se non fosse stata improvvisamente interrotta per lo scoppio del primo conflitto mondiale. Le fonderie di tutt'Italia vennero convertite a sfornare cannoni ma i Pruneri preferirono chiudere in attesa di tempi migliori.
Al termine della prima guerra mondiale la fonderia non riprese subito la sua attività. I forni furono riaccesi eccezionalmente nel 1926 per la fusione del monumento ai caduti di Grosio. Dovettero però passare altri cinque anni prima della solenne inaugurazione avvenuta alla presenza del vescovo di Como Alessandro Macchi. Le avvisaglie di un nuovo conflitto mondiale inducevano ad esitare, e solamente nel 1949 la fabbrica riaprì i battenti. Le redini della società erano nel frattempo passate nelle mani dell'ingegner Paolo Giorgio Pruneri, il quale rispose rapidamente all'invito della Pontificia commissione d'arte sacra a contribuire alla rifusione delle campane distrutte durante la seconda guerra mondiale. Purtroppo, nel tentativo di adeguarsi ai criteri di una produzione di tipo industriale, si abbandonarono tempi e le lente procedure che avevano caratterizzato l'origine artigianale della fabbrica. Ne risentì la qualità dei prodotti che richiedevano spesso interventi di smerigliatura e di rifinitura mai praticati prima. Impiegati perlopiù a rimpiazzare le requisizioni, i bronzi di questo periodo raggiunsero al massimo le parrocchie del Milanese e della pianura.


Fine anni Trenta: camion di campane per una consegna

La lista delle fusioni termina nel 1954 anche se i forni rimasero attivi fino al 1956.


Inizio anni Cinquanta: brindisi di Paolo Pruneri
(con gli occhiali) assieme ai suoi operai

A causa del grande successo che la fonderia conobbe fra le fabbricerie provinciali (si stima che il 42% delle campane oggi esistenti provenga dalla fonderia grosina), realizzare un elenco completo delle produzioni risulterebbe piuttosto dispersivo. Tuttavia proponiamo un elenco simbolico delle fusioni di maggiore rilievo in termini qualitativi.

Fonti: